Se "quel che è creativo è inspiegabile", come ci ricorda Heidegger, allora l'opera dovrà trovare in sè i motivi.
Quegli stessi motivi che non saranno frutto di calcolo, apriorismo senza spiegazioni.
E questo avviene con sincerità e coscienza nelle tele di Lucio Tafuri.
La bellezza si manifesta pressochè assoluta, le emozioni si spostano sugli oggetti e rimandano all'unico, ma sempre così complesso, messaggio dell'artista.
Si pensi a "Si el tiempo no lo impide".
A come la morte sia in ogni oggetto, nei riflessi pacati e silenti delle cose, nell'aria che avvolge la scena e che ci conduce a una risposta che forse non c'è e per questo ancora più definitiva.
La morte, ancora meglio la sua essenza, ci è vicina in ogni momento.
Siamo noi toreri o altro.
E forse proprio in quest'opera l'idea dell'assolutezza ci è più chiara che altrove.
Se ci azzardiamo a dire che l'arte è messaggio e comunicazione, qui scopriamo questi elementi in ogni particolare, in ogni pennellata.
Ma la stessa forza la ritroviamo nei soggetti più vari, dalla tematica più umana fino al ritratto.
Chi non rivede l'ironia pungente e quella straordinaria intelligenza nello sguardo di Mario Soldati, ritratto da Tafuri nel 1989.
Chi di noi ha ben presente le pagine dei suoi libri e i suoi indimenticabili film non potrà non ritrovare nel dipinto la sua vena tragica e il suo grande talento di osservatore, testimone e narratore severo di un'epoca.
Idea, dunque, e confronto continuo e instancabile con il vero che rimane l'unico luogo di indagine per un lavoro sempre così scrupoloso nell'analisi dei caratteri e dell'umano.
L'essenzialità di "Chiara" rimanda a una distribuzione degli spazi (a una conoscenza del vuoto pittorico) per così dire metafisica, terminata in sè ma con aperture di valori pronte ad essere colte da ognuno.
E' "l'aria" a cui ci si è riferiti poc'anzi.
Non un'atmosfera, mezzo mediocre e pittoricamente banale, ma una ricostruzione del messaggio in ogni parte del tutto. E pochi sono gli esempi contemporanei di questo talento, di una maturità che riesce a comunicare anche laddove non c'è tocco.
Sono i versi mancanti di una poesia, in sostanza, il vuoto espressivo di un abbandono.
La tematica sacra, altro importante momento dell'arte di Tafuri, non richiama nessuna regola, nessuna imposizione ideologica, ma la sofferenza del singolo, il desiderio di redenzione, la carnalità divina in tutti i suoi opposti.
E di nuovo siamo di fronte allo studio dell'umanità, del dramma, della tragedia vissuta.
Senza nessun compiacimento, senza nessun riferimento cattedratico, nozionistico.
Ma un'analisi completa necessiterebbe di spazi molto più ampi.
L'evoluzione di questo artista, la profonda onestà intellettuale dell'uomo, sono evidenti in ogni opera, dalle prime così dense e accese prove di cui diamo documentazione (si pensi a "Il debutto" del 1968), alla sintesi materiale degli ultimi dipinti, profonde prove di continuo studio e ricerca.
E vorremmo che si prestasse particolare attenzione a "Senza titolo".
Forse, tra gli ultimi lavori, uno dei più significativi esempi di forza e riunione della propria poetica, un'altra solida base su cui confrontarsi e superarsi.
E' dovere di chi guarda cogliere il terrore, l'angoscia, lo smarrimento universale della condizione dell'uomo.
Una morte (la Morte?) che rincorre nell'ombra ognuno di noi. Una morte che sfiora la nostra spalla come un'amante, emergendo silenziosa dall'ombra di un'oscurità partorita dall'inconscio. Un'ombra che siamo noi e le nostre paure, noi e la storia che abbiamo vissuto.
Non siamo di fronte a un soggetto.
L'uomo ritratto è l'Uomo.
Tafuri resta tra i pochi rappresentanti di una visione dell'arte rispettosa delle proprie forme e dei valori che presuppone. La pittura figurativa, ma anche l'arte senza etichette, l'arte tout court, deve la giusta riconoscenza all'impegno di questo artista, alla sua ricerca.
E' magia, forse.
Capacità rara di riunire la grande tradizione con l'umanità più prossima.
Con la vita di tutti noi.